Strano mondo il nostro.
Nel 2003 James LeBron, un atleta americano di pallacanestro neanche diciottenne, ha firmato un contratto di sette anni che lo obbliga ad indossare maglie e scarpe col marchio Nike bene in vista. In cambio riceve 90 milioni di dollari.
Trymun, l'operaia che nella fabbrica cinese del Guangdong produce il bene su cui è costruito tutto il castello pubblicitario e commerciale, dovrebbe lavorare 150.000 anni per guadagnare la stessa cifra.
Tutti si arricchiscono sul lavoro di Trymun, tranne lei. Il solito discorso sulla Cina cattiva che non rispetta i diritti umani e dei lavoratori, e che sui mercati aggredisce e danneggia i nostri interessi? Vediamo.
Su un paio di scarpe che in negozio paghiamo 70 euro, quando ci va bene, a Trymun va solo mezzo euro, poco più poco meno, a seconda dei cambio col dollaro.
In definitiva, il prodotto di Trymun è un bene insignificante che fa da pretesto per vendere una confezione ingombrante, con un'immagine importante, e permettere a pubblicitari e imprenditori, supermercati e altri parassiti di avere la loro fetta di guadagno. Vediamo meglio, e poi ditemi voi chi è il cattivo, e chi sfrutta chi.
Sul prezzo finale di un paio di scarpe Nike, il lavoro di assemblaggio incide per lo 0,4%, il materiale e le altre spese di produzione per il 9,6%, il trasporto per il 5%. Il resto sono balzelli privati e pubblici: tasse governative 20%, profitti del produttore 3%, pubblicità e marketing 8,5%, progettazione 11%, profitti di Nike 13,5%, quota del rivenditore 30%.
Insomma, al produttore e alla sua forza lavoro, come Trymun, va il 3,4% dei 70 euro dell'esempio di prima.
Mi chiedo perchè sui giornali, in tv, ovunque, raccontano la Cina come una minaccia per l'umanità, un posto dove non si rispettano i diritti più elementari. Mi piacerebbe sapere perchè questi signori non parlano dei lauti profitti di multinazionali come la Nike. Costruiti con il lavoro di persone come Trymun.