I Cinesi in Italia: come, dove... e perchè
Sono tanti, talmente tanti che una di loro è entrata persino nella casa del Grande Fratello, se questo può essere un indicatore della loro penetrazione nella nostra società.
Ma non tanti quanto pensiamo.
I cinesi in giro per il mondo sono circa 30 milioni, la maggior parte dei quali si è trasferita nel sud-est asiatico, e in Italia sono solo al quarto posto fra tutti gli immigrati. Non sono neanche la prima comunità asiatica per presenze, primato che spetta ai filippini.
Ma i filippini, o meglio le filippine, sono nascoste nelle case dove vivono e lavorano, mentre i cinesi sono un po' più visibili grazie ad una delle attività che svolgono in Italia: la ristorazione e il commercio.
Quella cinese è probabilmente fra le prime comunità ad essersi insediate in Italia in modo più o meno continuativo, formando in alcune zone delle vere e proprie enclave.
Ma la durata del loro insediamento non sembra essersi accompagnata ad una vera integrazione con la comunità locale.
Si tratta di un esempio d'integrazione frammentata o separata, che vede i cinesi frequentare le nostre stesse scuole ma non partecipare ad altri aspetti della vita pubblica e lavorativa.
Questa, come vedremo, è una tendenza che ha radici lontane e spiegabile con una doppia chiusura, quella della comunità cinese e quella della comunità ospitante.
Per accorciare le distanze, cerchiamo di capire da dove vengono e perché.
L'immigrazione cinese viene vissuta come non problematica rispetto ad altre. Raramente la televisione riporta reati commessi da cinesi ai danni degli italiani. Le principali vittime della criminalità cinese (sfruttamento del lavoro, traffico clandestino di migranti, prostituzione) sono cinesi.
Inoltre i cinesi non ci disturbano perché si inventano lavori nuovi (il ristorante cinese, l'alimentari etnico), sono poco qualificati, e non ci "rubano" i nostri.
Si sono fatti promotori essi stessi di un modello che li ha poi intrappolati, perché non riescono a penetrare nelle altre sfere produttive dell'economia italiana, quella di alta qualità, né della vita pubblica.
Questo è dovuto forse anche al loro particolare tipo di rete migratoria, che vede il conformismo al gruppo come condizione necessaria per l'accesso alle risorse.
I cinesi della diaspora si appoggiano alle comunità cinesi preesistenti, le quali inibiscono l'innovazione e favoriscono un "eccesso" di emulazione.
La barriera linguistica di certo non favorisce l'integrazione.
Le principali comunità cinesi sul territorio italiano provengono dallo Zhejiang e dal Fu-Chien, con una migrazione di tipo familiare, con il capofamiglia che prende l'iniziativa e la famiglia che lo segue.
Però sempre più donne, principalmente operaie, partono da sole, segno che qualcosa per loro sta cambiando.
I bambini cinesi nelle scuole italiane sono molto apprezzati; di loro si loda l'educazione e la discrezione, così come degli operai, ma questo potrebbe dipendere dall'abitudine ad un "padre educatore" onnipresente che ricalca a livello micro la vecchia struttura, che sta cambiando, di potere dominante in Cina.
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