giovedì 4 maggio 2006

L'affare e l'affarista

Ogni tanto penso alle mie scarpe simil-Puma made in China, comprate - va da se - dopo una serrata negoziazione all'ultimo RMB in un negozietto del fake market di Zhaoqing. Pagate l'equivalente di ben 10 euro, sembrano ancora nuove.
Sono belle queste scarpe, che come moltissimi altri prodotti Made in China promettono di sfidare il tempo e certamente fanno sudare freddo a parecchi "industriali" del "made in Italy" (sic...).

Già, il "made in Italy"...
E già, gli "affari" made in China...

Beh, se permettete, io - quando si può - scelgo l'affare e non l'affarista.
I signori industriali del "made in Italy" permetteranno che oltre a me, anche tanti lavoratori precari e disoccupati, casalinghe e studenti, possano desiderare di "fare un affare"?
Permetteranno che anche il laureato che vende il nulla lavorando al call center per 500 euro al mese o lo spocchioso praticante nel prestigioso studio d’architettura coi suoi 300 euro al mese di "rimborso spese" possano aver voglia di "fare un affare"?

Ed ecco perchè a un certo punto fa piacere sentire la Cina vicina.
Vicina ai nostri bisogni e al nostro faticare per arrivare a fine mese.
Vicina con i suoi banchetti al mercato di sciarpe in seta a 5 euro, con i jeans da 10 euro e le camicie da 12.
Vicina con i suoi negozi all'Esquilino che vendono elettronica a prezzi ottimi, e scarpe simil-Puma a 10 euro.
Vicina con i suoi ristoranti, in cui con 20 euro si pranza lautamente in due.

La Cina fa paura agli affaristi, perché vende prodotti - comunque provenienti dall’est asiatico - a prezzi meno rialzati di quanto facciano i nostri industriali italiani. Che delocalizzano la produzione nell'est asiatico. E hanno paura della Cina.

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